Dopo lungo andare

Dopo lungo andare, percorrendo la Passeggiata dell'Amore, stanchi i piedi dal disuso e nell'intento di levarmi gli invisibili ma pesanti occhiali urbani, "scoprii" Manarola.

Le Cinque Terre mi suscitarono allora un'intensa suggestione, scaturita sì dall'emotività (il mio primo "vissuto" italiano trascorse proprio qui, da Colombiera a Casteinuovo Magra, da Luni a Carrara, da Lerici a Portovenere, da Sarzana a La Spezia, ma anche riscontro di un entusiasmo inteso come passione di vita lotta politica, "voce piena" d'esseri che sanno ancora indignarsi con cuore-ragione-cuore grandine e sole, vino e mare).

Tutto questo scuoteva me, giovane, iniziando la rimozione di scorie interiorizzate, nella depurazione di bevande insapute e insidiose assimilate nella incertezza inconsapevole (fino a quando?) dei miei giorni "porteñoos".

La ricerca del "non essere quello che gli altri hanno fatto di noi" inizia dunque in Italia e al risveglio partecipano voci sonore e amiche, come quella di Dario Capellini, che riuscirono a portarmi ad una dimensione più umana in osmosi con nuovi entusiasmi significanti, vivi, che, curiosamente mi evocarono suoni, echi latinoamericani (quelli soffocati nella mia terra, quelle dell'uomo sopraffatto di Buenos Aires e ancora quello del sangue dell'indio schiacciato), l'eco di una "dimensione Machu-Pichu" e l'urlo dell'uomo imbavagliato nella pericolosa sfumatura metafìsica, prendeva qui una dimensione più storica ed umanistica e, ripeto, viva, presente. 

Camminando, oggi, con piedi più leggeri, a Manarola, ho visto la smisurata fatica dell'uomo intento alla vendemmia e mi infastidivo di mischiare i miei occhi ad altri di turisti e non, che vorrebbero conservare quelle immagini-zoom di stallattite — sudore cristalizzato — per evocare divertiti o addirittura sentirsi partecipi dello sforzo, (sarà diverso il lavoro del pittore?), proiettando diapositive al rientro a casa. Fotografìe, farfalle spillate, trofei di un'immagine vitale riesumata nel loro mondo di "cadaveri con permesso d'uscita" e vedendo i loro volti alla tremante luce dei proiettori, un contadino direbbe che la "mautìa du surfen" non intacca soltanto le piante.
Speculatori, sedicenti sovraintendenti, visitatori che nel loro egoismo maniaco-fotografante vorrebbero conservare lo status quo per potere così fornirsi in eterno nelle riserve di caccia delle proprie melanconie ed equazioni, attingere nel "colore locale" per assaporare in città con pantofole e schiene riposate, l'idea che l'uomo ancora esiste ed in quanto l'appartenenza a quel passato, a "quelle immagini di altri tempi" troverà ancora legami, si sentiranno rassicurati; ma quel passato non è tale e per gli abitanti delle Cinque Terre la fatica, le inclemenze del tempo, e le "folcloristiche" scomodità sono di una quotidianità assillante. Non si può pretendere che una così detta "protezione ecologica delle zone paesagistiche" dimentichi le necessità della vita, dove gli appartamenti degli inquisitori sono ben lontano dagli inappropriati ambienti "pittoreschi", dove ogni pietra deve essere assestata dal lavoro continuativo dell'uomo, dove uomini-mulo caricano pesi enormi per stradette quasi intransitabili tra "poggi" e case. Esseri, come dice Dario, considerati fossili. Fossili che fanno più interessante il week-end. Ma alla minaccia della speculazione edilizia, che vorrebbe uniformare in cemento (come già da Ventimiglia a Genova) con una impronta "cosmopolita", l'alternativa non è certo una protezione astorica del paesaggio, pretesa dei signori abitanti in città, che da parte loro invece accettano e sollecitano la deturpazione del loro habitat, consentendo essa il loro confort. 

Gli abitanti delle Cinque Terre, consapevoli che non solo sono dannose le larve che impupano, che non solo gli insetti rodono i germogli, che la grandine e il vento di Libeccio non vengono sempre dal cielo (anche se sempre dall'alto), lottano per la loro terra, la loro atavica autonomia. Ho voluto da loro imparare qualcosa, accostandomi, oggi, alla loro vita con il mio lavoro, accostandomi a questi uomini che si sono guadagnati la magnifica possibilità di dire: no! 


Roma, 8 Aprile 1975
Silvio Benedetto

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